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Le galee

Le loro imbarcazioni
Il nome "galea“, deriva dal greco αλέασ (galeas), cioè "pesce spada", per via della forma sottile e con il lungo sperone.

Galea è il nome un'ampia tipologia di navi da guerra e commercio usata nel mar Mediterraneo per oltre 3.000 anni.

Il suo uso declinò a partire dal XVII secolo, quando venne soppiantata dai galeoni, estinguendosi definitivamente alla fine del XVIII secolo.

L’origine delle galee si perde nell’antichità.
Si tratta infatti di un’imbarcazione a remi che iniziano la loro evoluzione già con gli Egizi e che dopo millenni troviamo, ovviamente in un formato più evoluto, anche nel XVI e XVII secolo.



Confrontiamo una trireme greca che ha partecipato alla battaglia di Salamina ed una galea della Lega Santa che ha partecipato alla battaglia di Lepanto. Non sembrano passati 2000 anni di storia:
- e’ scopraso il rostro sostituito dal bompresso
- e’ sata rialzata la poppa per dare più spazio agli addetti al comando
- gli alberi sono diventati 2

galea dei Cavalieri di Malta
trireme greca
nella battaglia di Salamina vennero utilizzate tre tecniche di combattimento
La manovra di speronamento alla parte poppiera della barca nemica dove, per l’aggredito, era più difficile difendersi e la struttura della nave era più debole. 
Un alternativa consisteva nell'impatto sui remi della fiancata nemica, teso a spezzarli e ferire i vogatori. Manovra difficile poiché richiedeva il ritiro sincrono dei remi della nave attaccante.
Come ulteriore alternativa si poteva ricorrere al classico abbordaggio esponendo il nemico all'azione offensiva degli arcieri e dei fanti di marina.
Nel 480 a.c. Serse, intenzionato a vendicare la sconfitta subita da suo padre dario nella 1° guerra persiana nella piana di Maratona, organizzò una nuova spedizione contro la Grecia.

Fece costruire ponti di barche sull’Ellesponto (stretto di Dardanelli) per traghettare l'esercito e fece aprire un canale navigabile (il canale di Serse) a nord del monte Athos, per il passaggio della flotta.
Ambasciatori di Serse si recarono presso le città greche, eccetto Atene e Sparta, a chiedere la sottomissione formale al re dei re, ottenendo in cambio un rifiuto.

Ad Atene e a Sparta Serse non inviò araldi a chiedere terra perché quando in precedenza Dario aveva inviato identica richiesta:
  • gli ateniesi avevano  gettato i messi nel baratro,
  • gli spartani in un pozzo, con l'invito a prendere da lì terra e acqua per portarla al re.
(Erodoto, storie libro VII, 133)

I Greci si trovarono però subito in disaccordo su quale fosse la migliore tattica difensiva:
  • gli spartani premevano perché si affrontassero i persiani sulla terraferma e lo si facesse all'imbocco del Peloponneso, presso l'istmo di Corinto, che nel frattempo veniva fortificato;
  • gli ateniesi ritenevano invece che fosse preferibile opporsi con la flotta.
Sui due diversi punti di vista pesava soprattutto la considerazione dei rapporti di forza all'interno della Grecia, dato che la fanteria spartana era di gran lunga la più forte mentre la flotta vedeva il predominio di Atene.

Una vittoria sulla terra ferma avrebbe arrecato gloria e potere soprattutto agli spartani, mentre una vittoria navale avrebbe spostato il merito verso gli ateniesi.

La battaglia delle Termopili

Prevalse il piano spartano, ma giudicando erroneamente che Serse fosse ancora lontano, solo un ristretto contingente si posizionò al passo delle Termopili, che era la strettoia obbligata verso la Grecia centrale.
Nell'agosto del 480 a.c.  avvenne lo scontro tra i due eserciti al passo delle Temopili mentre, poco distante, le forze navali nemiche presso Capo Artemisio si fronteggiavano senza che l'una riuscisse a prevalere nettamente sull'altra.
Alle Termopili, dopo giorni di combattimento, circondati dai nemici e per il tradimento di Efialte, il quale aveva indicato ai persiani un sentiero montano, l'Anopaia, per aggirarli (i mille Focesi posti a presidiarlo furono colti di sorpresa nella notte e opposero scarsa resistenza), il grosso dell'esercito greco si ritirò e i 300 persiani di Leonida si sacrificarono per rallentare l’avanzata di Serse e dar tempo ai greci di ritirarsi e di riorganizzarsi

Uno dei motivi della strenue resistenza dei persiani, oltre alla strettoia delle Termopili che impediva ai persiani di dispiegare le loro ingenti forze, è da attribuirsi ai diversi armamenti :

  • gli spartani avevano un elmo che proteggeva completamente la testa
        • i persiani non avevano nulla

  • gli spartani avevano un armatura che proteggeva tutto il corpo
        • i persiani niente

  • gli spartani avevano scudi di legno ricoperti di bronzo
        • i persiani solo di legno

  • gli spartani avevano lance più lunghe e resistenti di quelle persiane e utilizzavano la spada solo se restavano privi della lancia
i persiani avevano molti arcieri, ma il loro arco era di legno dolce che non riusciva ad imprimere grande forza alle loro frecce
battaglia di Salamina
Superato il passo delle Termopili, i persiani dilagarono in Grecia.
L’Attica e la Beozia furono devastate, Atene saccheggiata e data alle fiamme.
La flotta greca, però, era ancora pressoché integra. Gli ateniesi si salvarono grazie alla strategia di Temistocle, che evacuò la città mettendo in salvo la popolazione sulle isole.
A questo punto prevalse la strategia della battaglia per mare dell'ateniese Temistocle.
Temistocle, ancor prima dell'inizio degli scontri, sulla base dell'interpretazione tendenziosa di un oracolo pronunciato dalla Pizia, ove si alludeva enigmaticamente ad un muro di legno inespugnabile, aveva convinto i concittadini che il muro dovesse essere interpretato in riferimento alle navi.  
Un mese dopo la disfatta delle Termopili, Temistocle, in settembre, coordinò la decisiva battaglia navale persso l’isola di Salamina.

La battaglie di Salamina fu vinta attraverso un astuto espediente.
La flotta persiana era attraccata nella baia del Falero, con un numero di navi superiore a quelle greche: i Fenici al centro,  gli Egizi a destra e gli Ioni a sinistra.  
Serse cercò inutilmente di attirare in acque più aperte la flotta greca. Infine, decise di attaccare penetrando nell'angusto stretto di Salamina, attirato anche da un tranello di Temistocle.

La fretta del re persiano, tra l'altro, derivava dal fatto che ormai si approssimava l'autunno, e con la cattiva stagione sarebbe stato molto difficile mantenere in Grecia il suo enorme esercito a meno di distruggere la flotta ellenica. Peraltro, la flotta persiana aveva già subito varie perdite nelle precedenti operazioni contro i Greci o ad opera delle tempeste sull'Egeo.

Serse era così sicuro della vittoria che si fece erigere un trono in cima al monte Egaleo che dominava la baia per poter ammirare lo spettacolo.

I persiani presero possesso dell'isoletta di Psitallia e schierarono la flotta ad arco piatto.
I Greci, quindi, si ritrovarono circondati con
  • gli Egiziani a sud-ovest fronteggiati da 40 navi dei Corinti,
  • i Fenici a nord-ovest fronteggiati dagli Ateniesi e
  • gli Ioni a sud-est fronteggiati da Euribiade (flotta del Peloponneso).
I Greci continuarono ad arretrare nella baia di Salamina facendo avanzare la flotta persiana finché i Persiani si trovarono con la costa sui fianchi, gli Ateniesi davanti e le loro stesse navi che seguivano dietro.

Non potevano quindi più procedere, arretrare o manovrare.

La battaglia navale di Salamina fu un vero e proprio tracollo per l'esercito persiano, in quanto furono affondate 200 navi persiane contro le 40 trireme perdute dalla flotta ateniese.

Le agili navi persiane, guidate da esperti nocchieri, fra i quali spiccavano i Fenici, furono costrette dalla strategia di Temistocle ad attaccare frontalmente le più solide navi elleniche, in spazi angusti dove era impossibile far valere la superiorità numerica per circondare l'avversario.

Più che l'agilità e l'abilità, furono la conoscenza dei luoghi e la furbizia a determinare la vittoria greca.

Las battaglia di Salamina
2.000 anni dopo la battaglia di Salamina le galee erano ancora diffuse in tutto il Mediterraneo.
Vediamo quelle in uso presso le repubbliche marinare :
  • galea veneziana,
  • galea genovese,
  • galea pisana,
  • galea turca

La galea è un bastimento semplice, lungo, stretto, basso sull'acqua, con poco puntale. 
E’ lunga per consentire molti remi, 40 metri, e’ stretta per essere veloce, con poco pescaggio per non essere pesante e per rimanere manovriera, bassa sull'acqua e non può essere molto zavorrata; presenta quindi una pessima stabilità.
Stante questa struttura la galea porta solamente uno o due alberi, corti e abbattibili, una o due vele, in principio quadre poi latine; queste ultime consentono un albero meno alto con una maggiore superficie velica, però sempre modesta in rapporto alla lunghezza dell'imbarcazione.
Le vele si possono inltre utilizzare solo con vento tra fil di ruota e mezzanave o debole, perché altrimenti la galea si capovolgerebbe.


Galea pontificia (Lepanto)
La galea era dunque un lungo fuso, nel cui interno si abitava pochissimo o niente.
  • Gli scalmi dei remi errano fissati su una costruzione rettangolare in legno, detta posticcio, che sovrastava e proteggeva i vogatori.
  • Sul posticcio venivano sistemati gli scudi delle fanterie, o pavesi, per cui tutta la struttura protettiva era chiamata impavesata.
Il bordo del ponte non aveva murata, quel rialzo fisso che ripara la coperta delle navi in oceano; bisogna quindi evitare i mari agitati, oppure prendersi delle lavate con il rischio di essere sommersi dalle ondate, con danni ai remi e agli uomini ai banchi.

Tra i vogatori di dritta e di sinistra correva da prora a poppa
  • la corsia, larga circa 2 metri, che consentiva il passaggio degli
  • uomini della rembata (soldati che erano posizionati nella piazzuola prodiera, pronti per l'arrembaggio).
A poppa non c’è un castello, bensì
la « carrozza» o il «tabernacolo », leggerissimi, una specie di pergola o di tenda per il riparo degli ufficiali il comandante ed eventualmente l'ammiraglio.
Questo tabernacolo custodiva in una chiesuola la bussola e tutti gli strumenti necessari per la navigazione.

Il ponte viene lasciato completamente aperto.
Per quanto riguarda l'artiglieria, i pezzi erano poco numerosi, al massimo 10, di modesto calibro, piazzati unicamente a prua e a poppa più in basso possibile.
Nel Medioevo la galea aveva abbandonato il rostro; il miglioramento delle tecniche costruttive faceva si che il tentativo di speronamento di una nave nemica finiva con produrre danni ad entrambe le imbarcazioni e le metteva entrambe a rischio di affondamento. 
Dopo il XV secolo il bompresso sostituisce il rostro e diventa l’attacco per la vela di trinchetta; il bompresso all'abbordaggio impaccia e bisogna manovrare accuratamente per non romperlo.



Vediamo la composizione di un equipaggio tipo : 590 uomini contro i 170 delle galee greche.
rematori :
  • o 285, i forzati, sono dei veri martiri
  • o altri 107 turchi, prigionieri di guerra ... in realtà comperati a caro prezzo in Africa
  • o altri 60 sono dei « marinai al remo », i « bonevoglie », volontari pagati e un po' meglio trattati.
dalla parte dello staffile o del bastone:
  • o 19 bassi ufficiali, tra cui i temuti comiti
  • o forti del loro privilegio di marittimi, 39 « marinari di rembata », incaricati della manovra delle vele, delle ancore, dei timoni;
  • o 100 soldati ordinari, 6 serventi dei pezzi di prua, 8 sui fianchi.
  • o 10 valletti, per i servizi di fiducia
nell’olimpo:
  • o un capitano, un capitano-luogotenente, due luogotenenti, due vice-luogotenenti, due sottotenenti.
  • o tre funzionari: il cappellano, lo scrivano, il chirurgo.
Questi volontari presero il nome di buonavoglie. Erano gente libera, in linea di principio, e pagata in base a contratto e, per un compenso supplementare, disposta a lasciarsi incatenare di notte e comunque in combattimento.
A partire dal XV secolo sono in parte ricercati e in parte temuti. Ricercati alla stregua di buoni artigiani, capaci di insegnare agli altri il difficile mestiere (ci volevano 6 mesi almeno per «fare» un buon vogatore), temuti per la loro relativa indipendenza, per la tendenza a discutere gli ordini, per la pigrizia.
Vengono messi all'impugnatura del remo, che è il posto del vogavanti, sui banchi più verso poppa, come capivoga, sui quali si regola di banco in banco tutta la ciurma.
Si può far meno assegnamento su di loro che su uno schiavo, per la brevità relativa del loro arruolamento e per le clausole che permettono di rescinderlo.

In alternative ai benevoglie, i migliori sono gli schiavi turchi. Vengono impiegati come vogavanti, o come vogatori dei « banchi di quartiere », quando si voga a quartieri, cioè solo una parte alla volta. Sono vigorosi; da essi deriva l'espressione «forte come un turco », e la «testa di turco» delle fiere. Sono pazienti, resistenti, e presto rassegnati alla loro sorte e docili. Purtroppo accade raramente che se ne catturino. Bisogna comperarli nella stessa Costantinopoli dai vassalli turchi cui non ripugna di vendere i propri sudditi. Costano caro ... un prezzo che equivale al salario di un bonavoglia. E poi, ogni tanto, il sultano protesta contro quell'impiego dei suoi sudditi e bisogna liberarli. Spesa e rischio, tuttavia, sono compensati dalla loro qualità.
Non si può dire lo stesso per i nordafricani; di questi, c'è maggiore disponibilità, ma sono di un temperamento molto variabile, a volte violenti, a volte fiacchi, sempre subdoli, pronti alla rissa o ai tradimenti, odiati da tutti gli altri vogatori:  difficili da guidare, caparbi, spesso poco redditizi.

In carenza di benevoglie e di schiavi, si mettevano ai remi sulle galee i condannati nazionali, giudicati da tribunali penali. Per un condannato alla pena capitale la vita del vogatore era il minore dei mali, ma dal XIV secolo si comincia a mandarvi dei condannati a pene leggere ... e persino dei semplici sospetti o vagabondi. Ma un galeotto troppo «nuovo », non vale nulla.

palamento
Il complesso dei remi si chiama «palamento».
I remi sono effettivamente enormi: lunghi circa 12 metri, di cui 8 fuori dello scalmo, fatti di legno di faggio zavorrato con piombo per assicurare l'equilibrio. I remi sono talmente pesanti che occorre tutta una squadra per piazzarli; fuori servizio, vengono sollevati orizzontalmente con la loro estremità interna legata al ponte. La parte interna, il manico, termina con un'impugnatura di piccolo diametro "il tenone", che può essere afferrata con le mani dal vogavanti, vogatore scelto, come già abbiamo visto.

"maniglia" del remo
Gli altri non potrebbero afferrare con le mani il fusto del remo, troppo grosso, che è quindi guarnito d'un pezzo riportato di legno, "la maniglia" che viene afferrata dagli altri 4 o 5 rematori. Dato che il manico del remo descrive un cono, più il vogatore è prossimo al bordo della nave, più il suo gesto è breve e meno efficace; ma risulta anche meno faticoso. Il lavoro più spossante, una ginnastica che comprende quasi la corsa, è quello dei vogatori prossimi alla corsia, perché non solo devono alzarsi, ma anche eseguire una serie di movimenti complicati.
banco di una galea

Il banco di una galea è composto da tre altre tavole parallele:
  • la banchetta, larga 46 centimetri, sulla quale i rematori si alzano in piedi e dove poi saranno in 4 a dormire,
  • la pedagna, un gradino su cui devono arrampicarsi per fare immergere il remo in mare, a braccio quasi teso, per quel che riguarda il vogavanti e il suo vicino, i quali devono quindi essere alti, caso abituale nei turchi.
  • la contropedagna è solo tre centimetri sotto il banco precedente; bisogna quindi infilare in questo interstizio le dita dei piedi, che devono aggrapparsi senza urtare; com'è facile immaginare, occorre un bel po' di tempo prima che questa manovra sia correttamente eseguita. Quando è appollaiato sulla contropedagna, il vogatore si lascia cadere brutalmente all'indietro, ed è il suo peso che agisce sulla pala del remo.
Se in combattimento, o in seguito a errata manovra, uno o più remi, magari tutti quelli di un lato, si trovano violentemente trasportati all'indietro, sono anzitutto i piedi che si trovano incuneati ad andarci di mezzo prima che tutta la ciurma sia rovesciata, come tanti birilli, attraverso i banchi. Se, invece, ad esempio per un urto improvviso i remi sono spinti in avanti, i vogatori dei banchi posteriori vengono colpiti nella schiena o accoppati.

I remi erano tanto pesanti che diedero origine ad una particolare tecnica di combattimento. Prima di venire lungo il bordo all'avversario, rasentandolo, si fanno alzare alti tutti i remi del bordo che gli verrà di fianco; poi, facendo correre la ciurma e la milizia da una banda all'altra, si imprime alla galea un movimento di rollio, e ... quando c'è sotto il nemico lo si schiaccia col peso dei grandi remi. 
tecnica di combattimento
tipi di voga
Vi sono quattro sistemi di voga:
  • la voga « a passare il banco » utilizzato quando serve grande velocità o in situazioni di mare agitato. Il vogatore deve salire sul banco precedente: si tuffa la pala più profondamente e si fa poi ricadere sul banco. Si immagina facilmente il colpo che viene dato alle pale, lo sforzo che bisogna fare per controbilanciarlo, per regolarizzare a ogni costo il movimento, per impedire che i remi si urtino tra loro causando delle stragi nella ciurma.
  • la voga « a toccare il banco », di parata, per le riviste o le uscite dai porti. In questa voga, prima di alzare il girone in modo che la pala si immerga nell'acqua, lo si porta il a livello del banco precedente, cosa che alza la pala nell'aria con una curva graziosa ma spossante.
  • la voga «all'interno del banco », lenta, a piccoli colpi di remo, impiegata per rilassare o risparmiare la ciurma. in alcuni casi è controproducente, perché il cambiamento di ritmo, lungi dal riposare gli uomini, li molesta
  • la voga «a quartieri »; è la voga normale, ma effettuata solamente dalla metà della ciurma, per questo divisa in quattro quarti: di prua a dritta, di prua a sinistra, di poppa a dritta, di poppa a sinistra. si fa allora vogare i due quarti di prua, o i due quarti di poppa, o qualche volta, se si deve prestare fede a certe stampe, due quarti a scacchiere.

Le punizioni a base di colpi di frusta a bordo di una galea erano frequenti: venivano fatte eseguire da uno schiavo che se non picchiava con sufficiente forza prendeva il posto del condannato. I castighi più gravi comportavano:
- per un cristiano il taglio del naso,
- per un turco quello delle orecchie.
bestemmiare il « santo nome di dio e della vergine» recava con sé la perforazione della lingua con un ferro rovente.
Il recidivo sorpreso a limare i ferri era appeso 3 ore di fila, per 3 giorni consecutivi, all'estremità ell'antenna.

le punizioni
I 30 marinai di rembata, che si occupano delle ancore, dei cavi e delle vele, sono simili a quelli delle navi e regolati dalle stesse norme. ma la loro paga è maggiore 
(72 lire a semestre)
anzitutto perché la galea, bastimento da combattimento, è più pericolosa. Teoricamente i marinai non sono tenuti a combattere, ma corrono gli stessi rischi di tutti, soldati compresi.
In secondo luogo, la manovra della vela maestra latina è particolarmente disagevole e anche pericolosa; bisogna imbrogliarla a braccia, sull'antenna oscillante, ben nel letto del vento, affinché si raccolga sulla corsia e non intralci i rematori.
12 vedette, divise per guardie, giorno e notte, vegliano dall'alto della coffa, anche in porto per vigilare che nessuno sbarchi o si imbarchi
(ricevono 90 lire per semestre)
la vedetta di poppa e’ la peggio sistemata, sull'asse trasversale posteriore della tenda della carrozza, la pertichetta. La vedetta deve aggrapparsi ad una stretta tavola traballante ingombrata dal fanale e spesso da ornamenti o da una statua.
4 timonieri, sono veramente degli specialisti del timone
(pagati 108 lire al semestre)
I timoni sono in numero di 2, poi alla fine del XiV secolo si aggiunge, ma non sempre, un timone centrale.
infine i cannonieri, marinai e non soldati, sono dei signori
(pagati 180 lire al semestre)
e ai loro due aiutanti (si vede quanto l'artiglieria fosse insignificante) 
(pagati 108 lire al semestre)
La scomodità è assoluta. a bordo delle navi i marinai dispongono del castello di prora, di diversi ripari, qualche volta già di ponti di corridoio. qui, nulla di simile.

l'equipaggio di una galea
Una volta impegnato un avversario una delle 2 galee è destinata a soccombere; la posizione della ciurma è atroce. E’ stata obbligata a far forza di remi verso il nemico; preso contatto, essa è fatta a pezzi dai proiettili, trafitta dalle frecce o schiacciata dalle pietre nell'epoca in cui il cannone non regna, sempre senza potersi né difendere, né proteggersi, né contrattaccare. Incatenato al suo banco, il galeotto può solamente pregare o urlare. Questo urlio è talmente orribile che disorienta non solo l'assalitore ma pure i combattenti della stessa galea. Per questo si pone talora sul viso dei vogatori il tappo, sorta di bavaglio che essi debbono mettersi tra i denti e che li rende muti. Tolto l'urlare, che cosa può fare questo bestiame umano? Afferrare per le gambe i combattenti che incrociano il ferro sulla corsia.
Sino alla fine delle galee, il combattimento degli armigeri e degli ufficiali sarà individuale, qualche volta anche di tipo medioevale: i capi si lanciano delle sfide, si battono in duello.
I corpi bardati e irti di ferro, morti o vivi... e scalcianti dei soldati assalitori o assaliti cadono sui galeotti che cercano di respingerli come possono, e di liberarsene. Se la galea affonda, la ciurma annega senza remissione, se la galea non affonda, che atteggiamento assumono i vogatori? Tutta la storia mostra che i galeotti non tradiscono che raramente i loro carnefici ma, al contrario, li aiutano.

E’ interessante analizzare la strategia di combattimento che nel XVI secolo tutte le flotte adottavano e a cui Lepanto non fece eccezione.

Per il combattimento, le galee si schieravano fianco a fianco su una linea di fronte leggermente incurvata a mezzaluna, con la concavità rivolta verso la flotta nemica, che si avvicinava con la stessa formazione e su rotta opposta.
Questa formazione iniziale di combattimento era logica, poiché in essa ogni galea risultava protetta sui fianchi dalle due adiacenti e non esponeva così alle offese nemiche le sue parti più vulnerabili, cioè il palamento dei remi (l'apparato motore) e i rematori (la forza motrice).
Inoltre questa formazione faceva sì che ogni galea presentava al nemico la prora, cioè la sua parte più resistente alle offese e meglio armata, grazie alla presenza dei cannoni.
A proposito di questi ultimi, va però ripetuto che le artiglierie dell'epoca avevano una gettata assai limitata e un lento ritmo di fuoco; esse venivano perciò impiegate a distanza molto ravvicinata, in modo da infliggere il massimo dei danni materiali e di perdite umane alla galea nemica, poco prima di investirla con lo sperone e abbordarla con i soldati.
  • Al centro della formazione, schierata in linea di fronte per il combattimento, si trovava la galea del comandante in capo, che si chiamava la reale se vi era imbarcato il sovrano o un suo rappresentante.
  • La galea, dove era invece imbarcato l'ammiraglio, o, come si diceva a Venezia, il capitano generale da mar, si chiamava la capitana e, per farsi riconoscere, portava sulla poppa tre alti fanali, riccamente decorati.
  • Ai due estremi dello schieramento si trovavano le galee dei due capi più elevati in grado dopo il capitano generale; essi avevano il compito di difendere le ali della formazione dai tentativi di aggiramento del nemico e tentare invece di aggirare le sue ali estreme; queste galee si riconoscevano perché portavano, a poppa, un grande fanale.
In generale, lo schieramento comprendeva un gruppo di galee centrale, due gruppi di galee sui due lati e uno di riserva in posizione arretrata.

Fra i vari gruppi esisteva generalmente una distanza di circa 80 metri, mentre le galee di ogni gruppo navigavano il più vicine possibile tra di loro, compatibilmente con l'uso dei remi (circa 20 m. l'una dall'altra), in modo da potersi aiutare in caso di bisogno, e da impedire infiltrazioni di galee nemiche. Nello stesso tempo, questa formazione serrata permetteva la sorveglianza reciproca fra le galee vicine, intesa a evitare ogni defezione.

La battaglia, terza in ordine di tempo e la maggiore svoltasi a Lepanto, si concluse con una schiacciante vittoria delle forze alleate, guidate da Don Giovanni d’Austria, su quelle ottomane di  Mehmet Alì Pascià, che perse la vita nello scontro.
la battaglia di Salamina vi rimanda ai
 
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