La scialuppa che ogni mattino Fernando invia presso le varie navi per avere l’aggiornamento della loro situazione ritorna con la notizia dell’ammutinamento.
La giornata trascorre senza alcun movimento tra i due schieramenti. Sopraggiunta la notte Magellano invia con una scialuppa due soli uomini a lui fedeli a bordo della Victoria, una delle navi della sedizione, per convocare i comandanti delle tre navi ribelli a bordo della Trinidad per un incontro chiarificatore.
Il relativo capitano rifiuta la convocazione e i due marinai lo uccidono. Nello stesso tempo un’ altra scialuppa, carica di marinai fedeli a Magellano, abborda e conquista la nave. Grazie alla determinazione ed all’audacia di Magellano, ora sono tre le navi che si oppongono all’ammutinamento..
Dal alto opposto della baia restano due navi: la San Antonio e la Conception. La San Antonio tenta l’uscita, ma la sua ancora comincia ad arare e va alla deriva proprio verso la Trinidad. L’ammiraglia spara alcune bordate mentre un gruppo di uomini fidati ne riprende il possesso.
Quaranta uomini scelti abbordano la Conception espugnandola facilmente: alla gran parte dei marinai non dispiace l’idea di tornare sotto il comando di Magellano.
L’ammutinamento è stato debellato.
Si riunisce la Corte marziale che sentenzia:
- Juan de Cartagena e Calmete saranno abbandonati sulla riva della baia quando la flotta salperà
- Gaspar de Quesada, resosi colpevole di omicidio, viene condannato a morte e la sentenza viene subito eseguita
- Quaranta marinai ribelli vengono condannati a morte, ma
Magellano non fa eseguire la sentenza
Per settimane i 40 condannati restano rinchiusi nelle sentine delle navi, poi, quando già hanno perso ogni speranza, Magellano li sorprende graziandoli, ma assegnandoli ai lavori più duri. Sulle navi spagnole non era mai successo che un marinaio condannato a morte venisse graziato. Magellano ha conquistato il cuore di quei quaranta marinai che diventeranno i suoi più fedeli sostenitori.
Magellano non ha alternative. Dovrà passare l’inverno nella baia di Santa Lucia. Invia la Santiago in esplorazione verso sud. Giugno! La Santiago è naufragata e due marinai, che hanno raggiunto Magellano con mezzi di fortuna, raccontano: “… siamo incappati in una forte tempesta. Con le vele strappate La Santiago non era più manovrabile. Un’onda più alta delle solite si è portata via il timone. Il capitano Serrano è riuscito a far issare una piccola vela di fortuna e ad attrezzare una pertica a mò di timone. Per salvarci ha guidato la nave dritta su di una spiaggia ed in mezzo ad un enorme risacca gli uomini sono riusciti a saltare a terra. La Santiago è andata distrutta, ma abbiamo recuperato tutto il legname possibile. Usando i resti della nave, abbiamo costruito una zattera per attraversare il fiume Santa Cruz e venire ad avvertirvi”.
Ferdinando organizza una spedizione di soccorso: tutti i mariani della Santiago sono salvi.
24 agosto. E’ il giorno della partenza. Juan de Cartagena ed il prete Bernard Calmette vengono sbarcati mentre le navi si avviano verso l’uscita della baia dopo oltre cinque mesi di sosta. Passano altri mesi in navigazione. Magellano decide di mandare in avanscoperta alla ricerca del tanto atteso passaggio due navi: la San Antonio e la Conception.
Dopo quattro lunghi giorni ecco il ritorno delle due navi: Issano sull’albero maestro segnali e bandiere ad indicare che la spedizione ha avuto successo ! Le navi si avvicinano e gli urli degli equipaggi si mescolano tra di loro : “ Il passaggio ! Il passaggio !”
Racconta Pigafetta: “Pur accostandose al fine de la baia, pensando de persi, vitteno una bocca piccola, che non pareva bocca, ma uno cantone, e come abbandonati se cacciarono dentro, sì che per forza discoperseno el stretto; e vedendo che non era cantone, ma uno stretto de terra, andarono più innanzi e trovarono una baia. Poi, andando più oltra, trovarono uno altro stretto e un'altra baia più grande due prime. Molto allegri, subito voltorno indietro per dirlo al capitano generale". Magellano con tutta la flotta si avventura in quello che sembra l’estuario di un fiume. Magellano mette all’ormeggio la Trinidad e la Victoria e spedisce di nuovo la San Antonio e la Conception in avanscoperta. La tensione a bordo delle navi è alle stelle, in lontananza si vedono brillare tanti fuochi. Magellano battezza questa costa “Tierra del Fuego”
Dopo tre giorni di attesa riappare una sola nave: la Conception. Racconta il suo comandante: “Subito dopo la partenza ho trovato difficoltà nel tener dietro alla San Antonio che più invelata e veloce di noi ha cominciato a distanziarci; poi l’abbiamo persa di vista. Ora sono molto preoccupato perché nella rada dove ci eravamo dati appuntamento non è mai comparsa.”
Per tre giorni le tre navi rimaste esplorano tutti i canali del passaggio: la San Antonio, la nave più potente e capiente della flotta non si trova. Magellano fa ripartire la flotta lasciando sulle colline dei segnali per la San Antonio. Se la nave è scampata ad un possibile naufragio presto li raggiungerà.
Invece la San Antonio sta navigando verso la Spagna. Estevao Gomez, il secondo di bordo, si è impadronito della nave mettendo ai ferri il comandante Alvaro de Mesquita che ha opposto resistenza. Gomez è convinto che Magellano e le sue imbarcazioni non sopravvivranno alla loro avventura e ha deciso di attribuirsi i meriti della scoperta del passaggio tornando immediatamente in Spagna.
6 maggio la San Antonio fa il suo ingresso maestoso nel porto di Siviglia.
Estevao Gomez spiega che la San Antonio ha perso contato con il resto della flotta e dopo averla cercata a lungo è convinto sia naufragata. Falsifica la verità anche relativa all’arresto del comandante Alvaro De Mesquita. La sua versione dei fatti non convince. Una commissione d’inchiesta identifica molte contraddizioni nel raccontto di Estevao Gomez senza però riuscire ad avere prove certe del suo tradimento. Estevao scampa alla galera, ma non ottiene certo il successo in cui aveva sperato.
28 novembre 1520. Le navi di Magellano hanno superato lo stretto che porta il suo nome ed entrano in un nuovo mare calmo e di un azzurro profondo.
Pigafetta si avvicina a Magellano e propone :”Chiamiamo questo mare Oceano Pacifico”.
Il Pacifico, in cui le navi di Magellano navigheranno per parecchi mesi, riserva però alla flotta una vita di stenti: manca l’acqua, mancano i viveri.
7 aprile, la flotta entra finalmente nel porto di Cebu annunciandosi con una scarica di bombarde che spaventa la popolazione locale. Ma gli indigeni hanno un buon carattere ed il sultano Humabon fraternizza immediatamente con Fernando. Anche l’equipaggio di Fernando trova calda accoglienza tra le braccia delle graziose malesi. La dissolutezza si impadronisce dell’intero equipaggio, Magellano tollera, finge di non vedere. Il sultano si atteggia ormai a suddito della potenza spagnola e Fernando è interessato a consolidarne il potere.
Quando il sultano di Cipapulapa, l’attuale Mactan, contesta la sovranità di Humabon, Magellano se ne vuole occupare in prima persona per testimoniare a Humabon l’amicizia e la potenza della Spagna.
27 aprile le navi di Magellano raggiungono l’isola contestatrice. Le navi si ancorano al largo perché i fondali sono molto bassi. Anche le scialuppe non possono sbarcare. I soldati guidati da Magellano sono costretti a raggiungere la spiaggia a guado. Dall’entroterra compaiono 1500 indigeni armati di lance e di archi. Magellano non si impressiona, ricorda ben più impegnativi combattimenti a cui ha partecipato a Malacca, Goa ed in Marocco.
Magellano ordina ai suoi di incendiare il villaggio ribelle.
Gli indigeni si precipitano contro lo sparuto esercito di Magellano che ordina alle navi alla fonda di aprire il fuoco su quella marmaglia. Ahimè, le navi, per via dei bassi fondali, sono fuori portata.
Magellano ordina allora la ritirata che da inizialmente ordinata diventa via via sempre più precipitosa.
Gli indigeni hanno capito che non possono perforare le corazze degli spagnoli e lanciano le loro frecce verso le braccia, le gambe, le parti scoperte. Hanno anche individuato il comandante della spedizione e su di lui concentrano il loro accanimento.
Magellano è ferito ad una gamba e, aiutato dai suoi, tenta di guadagnare la spiaggia. Un altro colpo lo raggiunge al braccio con cui impugna la spada. Gli ultimi suoi strenui difensori cercano di rompere l’accerchiamento. Un nuovo colpo lo raggiunge.
Magellano muore!
L’uomo sopravvissuto a tante battaglie, a tante tempeste, ad un incredibile ammutinamento, muore per aver sottovalutato l’aggressività dei suoi nemici e per aver voluto dimostrare la superiorità della potenza spagnola. Il suo viaggio è finito, Magellano non potrà tornare in Spagna per raccogliere il meritato trionfo.
Il ritorno della flotta in Spagna si rivelerà un vero disastro. Gli equipaggi, privati dell’autorità di Magellano, sono allo sbando. Il comando della flotta che cerca la strada del ritorno passa di mano diverse volte in un peggiorando continuo.
8 settembre, un solo vascello fantasma raggiunge Siviglia. La città è in festa, ma quando la Vittoria accosta alla banchina la folla ammutolisce. Dei 250 uomini partiti con Magellano ne sono tornati 18 in uno stato a dir poco pietoso. I sopravvissuti della Victoria sono i primi uomini ad aver fatto il giro del mondo, ma il prezzo pagato è stato altissimo.
Lo storico Gonzalo Fernandez de Oviedo dedicò a Magellano questo tributo:
"La rotta aperta dal Victoria è la scoperta più straordinaria e la notizia più grande che mai si sia avuta da quando Dio creò il primo uomo e diede ordine all'Universo. Dai tempi del viaggio del patriarca Noè, nulla è mai stato realizzato di più importante in materia di navigazione."
11 dicembre - La giornata degli arcobaleni
Ne abbiamo visti 7 o 8 ed in un paio di casi ve ne erano due quasi in parallelo.
Voi penserete: “Che bello, vedere tanti arcobaleni in un solo giorno” In effetti sono molto belli, ma quando compaiono? “Quando smette di piovere” direte voi. Esatto! Ciò significa che la giornata degli arcobaleni è coincisa anche con la giornata della pioggia.
Per tutto il giorno siamo stati circondati da groppi che, quando riuscivano a raggiungerci, ci scaricavano addosso una leggera pioggerellina, per fortuna, di breve durata.
In questa zona i groppi sono veramente molto frequenti, specie di notte, in particolare a fine giornata, verso le 20, ed a fine nottata. Nascono da aria che si carica di umidità per evaporazione e restano confinati nello strato d’aria sotto l’inversione dell’Aliseo. I groppi seguono il flusso medio dell’Aliseo, ma camminano ad una velocità superiore di 3 o 4 nodi. Quando un groppo ti arriva addosso di norma si assiste ad un incremento di velocità del vento dell’ordine dei 10 nodi, ma in alcuni casi, se la base della nuvola è molto bassa, il gradiente di velocità può anche raddoppiare. Il groppo è caratterizzato inoltre da una zona centrale ascendente senza vento e dalle parte laterali di espulsione. La zona a maggiore intensità di vento è quella frontale, seguita dalle aree laterali, mentre la coda del groppo presenta venti di bassa intensità o addirittura bonacce.
Chi naviga per competizione i groppi se li va a cercare per disporre di una maggiore intensità del vento. Noi invece cerchiamo di evitarli per avere una navigazione “più tranquilla”. Quando pensiamo che sarà gioco forza subirli, anticipiamo la riduzione della velatura in modo da non avere problemi di manovra, specie durante la notte, quando è difficile vederli in anticipo e quando non è facile interpretarne la direzione.
L’altro fatto significativo della giornata è che la flotta delle barche partecipanti che si era dispersa su di un ampio spettro di latitudini, si sta ricompattando. In questo momento noi abbiamo sulla nostra dritta, a 7 miglia di distanza, un catamarano che ci fiancheggia ormai da una giornata. Sulla nostra sinistra, a 12 miglia di distanza, è comparsa da poco un’imbarcazione a vela inglese di 16 metri e, sulla nostra scia, a 3-4 miglia, vediamo un’altra vela al momento non identificabile.
Dopo tanta solitudine, fa piacere ritrovare un po’ di compagnia!
12 dicembre - 230 miglia all’arrivo
Ma il vento fa le bizze. Siamo ormai alla latitudine di St Lucia, basterebbe tirar diritto e saremmo in porto! Questa mattina sembrava che il vento volesse favorirci perché durante la notte era girato a sud-ovest e quindi ci stava spingendo di lasco nella giusta direzione. Purtroppo, verso metà giornata, ha cominciato a mollare fino a scomparire del tutto.
Per non fare la papera che galleggia sbatacchiata dalle onde, abbiamo messo un po’ di motore che speriamo di poter spegnere al più presto.
Dal punto di vista climatico è stata una delle giornate più rilassanti del nostro viaggio, ma dal punto di vista dell’impegno profuso verso la barca, una delle più impegnative.
Ieri sera, prima che partisse la solita staffetta dei turni ci siamo trovati a controllare la situazione della sentina. Ahimè, la scassa della sentina conteneva acqua di mare, circa 5-6 litri: niente di preoccupante per la sicurezza della barca, ma che stava ad indicare che da qualche parte c’era un’infiltrazione di acqua di mare. Vai con la pompa di sentina! Abbiamo deciso fin dalla partenza di accenderla a comando piuttosto che lasciarla sempre accesa. Lasciandola sempre accesa si ha il vantaggio di scaricare automaticamente eventuali infiltrazioni, ma lo svantaggio di non riuscire a valutare l’importanza e l’intensità delle stesse. Svuotata la scassa della sentina, sono iniziati i turni notturni e …….. questa mattina, ore 6, tutti a vedere se nella scassa era arrivata altra acqua. Ahimè, c’era! La sera precedente avevamo non solo svuotato la scassa, ma anche asciugato con cura tutto intorno in modo che, perdurando l’infiltrazione, restasse un traccia del suo passaggio. Acqua nella scassa, ma nessuna traccia di infiltrazione: tutto apparentemente perfettamente asciutto. La mancanza di tracce ci ha spinto a sospettare della pompa di sentina: che fosse partita qualche membrana di modo che, a pompa ferma, la stessa lasciasse trafilare acqua di mare verso la sentina? Perché il sospetto è caduto sulla pompa di sentina? Perché è l’unica via di accesso alla scassa che, in caso di perdita, non lascia alcuna traccia al contorno. Abbiamo controllato questa pompa in tutti i modi possibili ed abbiamo dovuto concludere che non era quello il problema! L’infiltrazione arrivava da qualche altra parte. Abbiamo di nuovo svuotato la scassa ed asciugato il contesto al contorno. Nuovo controllo nel pomeriggio: la scassa aveva ricevuto ancora un po’ d’acqua. Abbiamo controllato la baderna, la losca del timone, ogni angolo della sala macchine, abbiamo spagliolato quasi tutta la barca, controllato le prese a mare, gli attacchi di tutte le pompe, gli scarichi delle due toilette e della cucina, e chi più ne ha più ne metta. Niente ! Ora è sceso il buio. Abbiamo di nuovo ripulito il tutto per bene e aspetteremo domani mattina per un ulteriore controllo.
Di solito a bordo, Michele gioca il ruolo del pessimista ed io quello dell’ottimista (vedi arresto dell’autopilota). Questa volta ci siamo scambiati i ruoli: Michele ipotizza che, stante la tanta acqua di mare che per giorni ha inondato il passavanti e fatto fischiare gli scarichi degli ombrinali, l’acqua che troviamo nel cassone sia acqua residuale che finisce in sentina man mano che la barca si asciuga. Viceversa io penso che questa sia un’ipotesi un po’ troppo ottimista.
Speriamo abbia ragione lui! Non riuscire ad individuare la causa dell’infiltrazione crea disagio e frustrazione in tutto l’equipaggio.
13 dicembre - La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede bene
Avevo appena finito di descrivere la nostra giornata di ieri, alle prese con una piccola infiltrazione d’acqua di mare introvabile, quando, mentre si cenava, dal pozzetto un bip…bip…bip…. ci ha messo in allarme!
Come sempre Michele è stato il più veloce a raggiungere il pozzetto dove il quadro di governo dell’autopilota ci annunciava che era in stand by. Trattenendo il fiato lo abbiamo rimesso in automatico, ma non ne ha voluto sapere! Ormai siamo una squadra specializzata nell’intervenire sull’autopilota: ecco Michele nei panni del chirurgo, Alberto in quello di infermiere addetto alla rianimazione e Paolo che pratica la respirazione bocca a bocca alla barca per tenerla in vita, ovvero mantenerla in rotta.
Michele opera, io asciugo il sudore (freddo), anche il mio, e che cosa scopriamo?
L’intervento è riuscito, ma sfortunatamente il paziente è morto! I fili che alimentano l’elettrocalamita dell’attuatore si sono tranciati e l’encefalogramma è piatto! L’equipe è presa da un attimo di sconforto, ma poi, al motto “Poteva andare peggio!” si rianima. Poteva andare peggio perché, come vi ho raccontato, l’attuatore dell’autopilota era un paziente male in arnese che già alcuni giorni fa avevamo salvato per il rotto della cuffia.
Onore al merito! Ha tenuto duro per altri 3 o 4 giorni portandoci fin sulla soglia di St. Lucia (si fa per dire, perché mancano ancora 200 miglia). Sul da farsi non ci sono decisioni da prendere: basta mettersi al timone ed alternarsi ogni 2 o 3 ore. Pronti via! Il primo turno è il mio, poi, per tutti inizia un tour un po’ ripetitivo: governa il timone, mangia e dormi ! Per fortuna a St. Lucia mancano solo 2 giorni di navigazione. Ovviamente nessuno più si occupa dell’infiltrazione nel cassone di sentina: “ubi maior minor cessat!”. Una volta al giorno azzeriamo l’infiltrazione azionando la pompa di sentina.
Nella tarda mattina la routine però è interrotta da un altro imprevisto. Sto riposando, quando vengo svegliato di soprassalto da Michele che mi dice: “Puoi venire un momento?” Espressione usata di norma da Michele quando ci sono dei problemi. Ed in effetti ci sono dei problemi, ma, questa volta, sono di casa su di una barca che abbiamo incrociato a qualche centinaio di metri. Michele si è messo in contatto per un saluto e così abbiamo saputo che sono in avaria: hanno preso una cima nell’elica. Il 17 settembre scrivevo:
“Nel tardo pomeriggio, sotto uno strano cielo striato da cirri di alta quota, abbiamo incrociato una vela che procedeva in direzione opposta alla nostra. Come sempre ci siamo salutati.
Se siete stati per mare avrete certamente osservato questa consuetudine: lo scambio del saluto quando due barche a vela si incrociano. Perché? Che cosa c'è di implicito in quel saluto? A mio avviso i due skipper si stanno dicendo: “Ciao amico, sono contento di averti incontrato e che tutto a bordo della tua barca vada per il meglio. Comunque non ti preoccupare, se hai una qualche difficoltà, ricordati che siamo “sulla stessa barca” ed io sono qui per aiutarti.”
Il caso ci ha messo alla prova!
Ci chiedono se abbiamo a bordo un’attrezzatura subacquea per poter scendere in mare e tagliare la cima che ha bloccato la loro elica.
“Certo che si!”
Mio nipote Marco, noto istruttore subacqueo, mi aveva preparato un set giusto per poter affrontare le situazioni di emergenza. E così eccomi pronto per una bella immersione; bombola, schienalino, erogatore, pesi, …. controllo che tutto sia in ordine. Ma dalla barca vicina ci segnalano che hanno a bordo una fanciulla in grado di immergersi e che è quindi sufficiente passare loro la necessaria attrezzatura. Le due barche ammainano le vele, noi mettiamo motore e ci portiamo con la prua sulla loro poppa, io lancio una cima al cui termine ho legato l’attrezzatura, via al trasbordo ……. Poi tutto procede come da manuale ed alla fine delle operazioni, con la stessa manovra all’inverso, ci viene resa l’attrezzatura con attaccate 6 lattine di birra accompagnate da un “Arrivederci a St. Lucia!”
“Ciao amico, sono contento di averti incontrato e che tutto a bordo della tua barca vada ora per il meglio.”
La legge del mare è stata rispettata!